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Elena Basso: una geologa a New York

Continua il nostro viaggio intorno al mondo alla ricerca di persone “speciali” che hanno scelto di cambiare vita e partire per l’estero alla ricerca di una vita migliore. Elena Basso ha lasciato il suo lavoro come ricercatrice a Pavia e ha preparato in pochi giorni una valigia per volare verso la Grande Mela, senza sapere che quello non sarebbe stato solo un viaggio, ma una vera e propria rivoluzione nella sua vita

Elena Basso è originaria di San Germano Vercellese, un piccolo paese di circa 1700 abitanti in provincia di Vercelli. Dopo essersi laureata in Scienze Geologiche e aver proseguito il suo percorso di studi tramite un Dottorato di Ricerca in Scienze della Terra, Elena inizia la sua carriera accademica: “Trascorsi sette anni come assegnista di ricerca, ho poi vinto una posizione di tre anni come Ricercatore a tempo determinato. Quasi al termine del contratto, ho vinto una senior fellowship di un anno al Metropolitan Museum of Art di New York!” racconta Elena entusiasta.

Cosa ti ha spinto a guardare “fuori dall’Italia”?

Come ricercatore universitario, guardare “fuori dall’Italia” è praticamente un dovere. Il confronto costante con altre realtà, le collaborazioni con istituti di ricerca stranieri per condividere progetti di ricerca sono all’ordine del giorno e trascorrere periodi più o meno brevi all’estero può dare uno slancio alle proprie ricerche.

Come mai la tua attenzione è ricaduta su New York?

Nel 2013, quando ero ricercatore all’Università, ho avuto l’opportunità di trascorrere sei mesi nel Dipartimento di ricerca scientifica del Metropolitan Museum of Art di New York, in qualità di visiting scholar. E’ stata un’esperienza professionale e umana per me senza precedenti, e questo mi ha spinto a candidarmi per il loro programma di fellowship, in vista della scadenza del mio contratto all’Università. Il primo settembre 2014 è iniziata la grande avventura newyorkese.

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Racconta il percorso professionale che ti ha portata in America.

Come accennavo, ho una laurea in Scienze geologiche e un Dottorato di ricerca in Scienze della Terra, ma quello che non ho detto è che ho scelto un campo non molto conosciuto, quello delle scienze applicate allo studio dei Beni culturali. In poche parole, studio i manufatti antichi dal punto di vista dei materiali e delle tecnologie utilizzate per la loro realizzazione, avvalendomi delle tecniche scientifiche “prestate” dalla geologia, dalla chimica, dalla fisica. Questo, negli anni, mi ha indirizzato verso l’ambiente dei musei. Purtroppo, in Italia i musei nazionali non sono attrezzati con laboratori scientifici, dove gli oggetti conservati nelle sale e nei depositi del museo vengono analizzati per sviluppare un corretto intervento di restauro e conservazione. All’estero, invece, è quasi la norma.

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Descrivi il tuo stato d’animo quando sei arrivata nella Grande Mela.

La prima volta che sono arrivata a New York per lavoro ero piuttosto spaventata, poiché non conoscevo bene l’inglese e, soprattutto, intimorita perché non avevo mai fatto esperienze in un ambiente diverso da quello accademico, e per di più stavo entrando in uno dei più grandi e importanti musei al mondo! Risultato: quando ci sono tornata nel 2014, è stato come tornare a casa.

Racconta un episodio divertente che hai vissuto a NY.

Due anni fa con amici sono andata a curiosare la sfilata delle star sul red carpet proprio di fronte al Metropolitan, in occasione del Met Gala, organizzato ogni anno da Anna Wintour. Vedere la reazione delle persone all’arrivo delle star è stato davvero impagabile! Gente che saltava sul cofano delle auto parcheggiate nei dintorni, persone che urlavano a prescindere, che si arrampicavano sui muri…follia pura! Ma confesso che mi sono divertita moltissimo.

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Racconta un episodio drammatico che hai vissuto a Ny.

Fortunatamente, non sono mai stata coinvolta in nulla di drammatico, né mi sono mai sentita in pericolo. Pur essendo una megalopoli, posso dire di sentirmi sicura quando sono in giro, anche sola. L’unico ricordo drammatico che mi torna alla memoria, risale al 15 aprile 2013, giorno dell’attentato alla maratona di Boston. In pochi minuti, la città era invasa dalle automobili della polizia, e il museo presidiato, in quanto obiettivo sensibile.

Come si svolge la tua giornata tipo?

Ho la fortuna di non avere orari fissi, quindi arrivo al lavoro tra le 8.30 e le 9.00 am. Dedico la maggior parte della giornata a sviluppare il mio progetto di ricerca, in più collaboro con gli altri scienziati del dipartimento che lavorano sui preziosi oggetti conservati al Metropolitan. La sera c’è sempre qualcosa da fare, tra cinema, concerti, presentazioni di libri, o una semplice birra con gli amici. Ah, ogni tanto mi godo anche la tranquillità di una serata casalinga!

Qual era il tuo sogno nel cassetto quando eri piccola?

Quando avevo nove anni, sognavo di diventare archeologa e di girare il mondo per portare alla luce reperti straordinari! Il sogno è stato lo stesso per molti anni e mai messo da parte. Oggi posso dire che, in parte, l’ho realizzato.

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Qual è il tuo sogno nel cassetto oggi?

La stabilita’. Spero non sia utopia, oggi!

Una delle cose più assurde che hai visto a New York?

Tra tutte le cose assurde che ho visto, le pecore al pascolo tra i palazzi dell’East Village restano imbattute.

Cosa apprezzi della cultura newyorkese?

Sicuramente la libertà di espressione, grazie alla quale chiunque può essere e non apparire. E poi i grandi stimoli che spingono a realizzare i propri sogni e a sviluppare le proprie idee.

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C’è qualcosa che proprio “disprezzi” della cultura newyorkese?

Disprezzare è un termine un po’ forte, ma sicuramente la loro incapacità nel costruire relazioni sociali solide e profonde non mi piace e mi mette a disagio.

Progetti per il futuro a breve termine? Progetti per il futuro a lungo termine?

Cercare di tornare a New York entro i prossimi due mesi.

Cercare di rimanerci il più a lungo possibile, facendo un lavoro che mi appassiona.

Spiega brevemente che tipo di visto hai.

Nell’ambito della ricerca, il visto che inizialmente viene sponsorizzato è il cosiddetto J1, che può essere rinnovato fino a cinque anni. Rientra nella categoria non-immigrant visa e non dà diritto a lavorare negli Stati Uniti, essendo un visto per lo scambio di studiosi a fini di ricerca o educativi. Questo è il visto che ho avuto io durante la fellowship al Metropolitan. Occorre sempre avere un ente, un istituto di ricerca, o un’azienda che faccia da sponsor per un qualsivoglia visto per poter lavorare negli Stati Uniti.

Di cosa ti occupi esattamente?

La fellowship di cui ero titolare al Metropolitan era nell’ambito della cosiddetta “conservation science”, ovvero la disciplina che, attraverso l’uso sia di classiche che sofisticate tecniche scientifiche, studia lo stato di conservazione di manufatti artistici e archeologici, soprattutto in ambito museale. In particolare, ho condotto un progetto di ricerca indipendente sulla collezione di ceramiche islamiche, note agli studiosi come “Sgraffito wares”, provenienti dall’Iran. Il lavoro consiste nel determinare le caratteristiche materiche (cioè la composizione chimica e mineralogica di ogni singolo manufatto) e le peculiarità tecnologiche della collezione in esame, attraverso varie tecniche di analisi. L’insieme dei dati raccolti e la loro interpretazione, permette di determinare la natura e l’area di provenienza delle materie prime utilizzate in antichità (per esempio il tipo di argilla usato per produrre le ceramiche o i pigmenti usati per le decorazioni), le temperature a cui venivano prodotte le ceramiche, le tecniche usate per le decorazioni.

Hobby, interessi, curiosità su di te.

Mi piace molto leggere, soprattutto romanzi gialli e thriller psicologici. Adoro il teatro e il cinema. Tuttavia, viaggiare è in assoluto la mia passione più grande. Ah, un’ultima confessione…impazzisco per i gatti!

Com’è il tuo rapporto con l’inglese?

Confesso che all’inizio è stato piuttosto difficile. A scuola ho sempre studiato francese e durante il dottorato di ricerca ho vissuto un anno nel sud della Francia, quindi ho sempre avuto più familiarità con il francese. Poi, usando sempre di più l’inglese per lavoro, ho deciso di iscrivermi a un corso privato per impararlo. Tuttavia, si sa che quello che si impara tra i banchi di scuola serve solo parzialmente! Infatti, per i primi tre mesi, pur riuscendo a cavarmela egregiamente con l’inglese “lavorativo”, tutt’altra storia era la conversazione colloquiale. Non capivo nemmeno le conversazioni a pranzo! Poi, magicamente, è come se qualcuno avesse girato l’interruttore e da un giorno all’altro ho iniziato a capire cosa diceva la gente intorno a me.  Me ne accorsi quando, una mattina, viaggiando in metropolitana diretta al lavoro, il treno si fermò e da una voce all’altoparlante capii che alla stazione successiva c’era un piccolo incendio. L’assoluta indifferenza e tranquillità delle persone intorno a me mi fece sospettare che non avevo capito un bel niente! Una tristezza infinita: dopo mesi ancora non capivo dei banali annunci. Ma all’arrivo nella stazione incriminata, vidi fumo e i vigili del fuoco all’opera! Sorrisi soddisfatta e fiera, e da quel momento cambiò tutto. Ora che sono in Italia da qualche mese, mi tengo allenata guardandomi le mie serie tv americane preferite e film in lingua originale.

Cosa ti sta dando l’America che l’Italia non ti dava?

Sicuramente una grande opportunità, quella di fare il lavoro per cui ho studiato e fatto tanti sacrifici. E di farlo bene, soprattutto.

Cosa stai dando tu all’America?

Un pezzo di Italia, quella vera, con un solido background di conoscenza e professionalità. L’apertura mentale che abbiamo noi non trova paragoni là.

Dove vedi la tua vita nei prossimi 20 anni?

Diciamo che per coerenza con la mia risposta alla domanda precedente, a New York!

Scegli un oggetto che ti rappresenta e spiega perché…

Un paio di scarpe, perché mi piace tantissimo camminare!

Visto il tuo amore per i “sassi”, quale sceglieresti per rappresentarti? Perché?

Di sicuro una roccia lavica. I vulcani mi affascinano tantissimo, perché sono alla base della costruzione della crosta terrestre. Il magma che erutta arriva dal profondo.

Se avessi una bacchetta magica cosa chiederesti?

Almeno 20 cm di statura in più!

Se avessi una macchina del tempo, cosa modificheresti del tuo passato?

Questa è una domanda che io stessa mi sono posta più volte. Quando ero bambina, venivo sempre definita come “molto matura per la mia età”. Se tornassi indietro, vorrei solo essere una bambina.

Racconta un tuo successo professionale

L’anno scorso sono stata invitata a tenere un seminario all’Università di Yale. E’ stato un grande onore, oltre che una emozione indescrivibile!

Racconta un tuo insuccesso professionale.

Per ora, veri e propri insuccessi non ne ho ancora incassati. Qualche delusione, quella sì, magari per un lavoro di ricerca costato mesi e mesi di fatica, poi non accettato per la pubblicazione. Ma prima o poi arriveranno anche gli insuccessi.

Quale posto vorresti visitare nei prossimi anni? Perché?

Fin da bambina sogno di andare in Australia, quindi sicuramente è in pole position. La natura australiana mi ha sempre affascinata tantissimo.

E noi saremmo felicissimi se venissi a trovarci in Australia, Elena! ndr

Quale consiglio senti di dare a chi desidera cambiare vita all’estero?

Esserne convinti e consapevoli che si va incontro a grossi sacrifici. Essere pronti ad affrontare molte difficoltà e dotati di un enorme spirito di adattamento. Documentarsi su usi e costumi del paese che si è scelto per cambiare vita è doveroso.

Quali suggerimenti verso le giovani generazioni che sognano un futuro migliore?

L’apertura mentale è una delle doti più vincenti, ma non è innata. La si crea e plasma attraverso la cultura, quindi studiate, divorate libri e viaggiate!

Un rimpianto, un rimorso.

Rimpiango di non essere partita quando ero più giovane, magari andando a fare un dottorato all’estero. Nessun rimorso, almeno per ora.

Se dovessi descrivere in cinque righe Elena Basso?

Mi è sempre piaciuto pensare a me come a un felino, che arriva in silenzio e quasi non ti accorgi che è proprio lì, vicino a te. Ti studia, ti gira intorno, all’inizio con timore. Te lo devi conquistare. Ma se lo conquisti, non ne potrai più fare a meno.

La storia di Elena Basso ci dimostra come la perseveranza, la dedizione e la passione per la propria materia di studio e di lavoro siano le armi vincenti per farsi spazio in una società competitiva e aggressiva come quella attuale. Dimostra che l’eccellenza viene premiata, così come la fatica e l’impegno profusi nel corso della propria carriera, così come della propria esistenza.

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