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Aborigeni Australiani

La popolazione aborigena nativa australiana è un tratto culturale importantissimo di questa nazione. Scopriamola più nel dettaglio e vediamo dove poter apprezzare la loro cultura e la loro arte.

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I primi Aborigeni

L’arrivo dei primi Aborigeni sul continente australiano risale a circa 50000 anni fa quando il paese era terra franca per i grandi mammiferi e le incontaminate e selvagge foreste. Questi primi abitanti occuparono le terre australiane e si organizzarono in tribù sparse per il territorio. Le tribù che vivevano sulle coste si dedicavano all’agricoltura, all’allevamento e alla pesca, mentre quelle dell’entroterra erano estremamente abili nella caccia, che forniva loro il sostentamento di cui avevano bisogno.

Terra nullius

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Due bambini aborigeni

La loro organizzazione venne sconvolta completamente dall’arrivo dei coloni britannici che si appropriarono delle terre secondo il principio della terra nullius, ovvero il principio che gli permetteva di occupare questi territori in quanto completamente disabitati. Oltre che all’espropriazione delle terre l’invasione coloniale provocò anche una netta diminuzione della popolazione aborigena a causa delle malattie provenienti dal continente europeo a cui il loro corpo non sapeva reagire. Si pensa che la popolazione locale passò da circa 1 milione ad appena 60000 persone.

Per tutto il XX secolo è proseguito il tentativo di sradicare questa cultura dalla terra australiana (per esempio con la pratica barbara dell’affidamento dei figli aborigeni a famiglie discendenti dalla colonizzazione europea). Questo è quello che gli aborigeni definiscono “generazione rubata”.

Nonostante questi tentativi alcuni residui di popolazione aborigena resistono nelle zone periferiche delle città, ma soprattutto nelle remote zone del nord del paese, dove sono riusciti a riottenere alcune delle terre di loro antichità proprietà.

Cultura Aborigena

La cultura aborigena ha dato vita ad una vera e propria cultura autonoma che è uno dei tratti più caratteristici di quella australiana in genere. È in particolare nell’arte che questa cultura si è sviluppata. Per poter osservare da vicino queste forme artistiche potete recarvi in una delle gallerie d’arte cittadine ma, ancora meglio, visitare uno dei siti del Dreaming Tour, un percorso alla ricerca del significato della vera e propria vita, cultura ed arte di questo popolo.

Uno tra i siti più belli da visitare è senza dubbio la gola di Carnarvon (Carnarvon Gorge) con le sue suggestive pitture rupestri all’interno. Essa si trova nel Queensland e più precisamente nel tratto di costa denominato Capricorn Coast. Poco più a nord avrete invece la possibilità di partecipare alle Kuku-Yalanji Dreamtime Walks, condotte direttamente da una guida aborigena.

Un altro percorso da non perdere è quello sulla Dampier Peninsula, nell’Australia occidentale dove abitano numerose comunità superstiti di questi popoli divise in diverse tribù. Al vostro arrivo dovrete richiedere un apposito permesso per visitare queste suggestive comunità.

A Melbourne invece si trova il Koorie Heritage Trust, un centro culturale dedicato alle tradizioni aborigene delle tribù della parte meridionale dell’Australia.  Sentire i racconti di questo popolo, tramandati rigorosamente per via orale e osservare manufatti e oggetti artigianali vi farà capire di più su questo popolo tanto complesso e variegato.

Per entrare nel vero e proprio regno degli aborigeni di oggi dovrete andare nel Northern Territory. Qui quasi metà delle terre sono state concesse di nuovo a questo popolo che appare, in alcune circostanze, piuttosto scontroso con i visitatori. C’è da dire che, specie nell’ultimo periodo, le attività di escursione all’interno delle loro comunità si stanno facendo sempre più facili proprio grazie al fatto che queste popolazioni stiano diventando sempre più aperte verso i visitatori stranieri.

Uluru : il dibattito sulla scalata del monolite sacro d’Australia

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Celebre in tutto il mondo per le sue tonalità cangianti di rosso che si stagliano sullo sfondo del deserto in Australia centrale, il turrito monolite di arenaria Uluru è una delle cartoline preferite dai turisti. Conosciuto anche con il nome di Ayers Rock, denominazione attribuitagli dai coloni, il sito, patrimonio mondiale dell’umanità per volere dell’UNESCO, si trova circa quattrocentocinquanta chilometri a ovest di Alice Springs e viene scalato ogni anno da circa centomila persone. Il sito tuttavia sta diventando meno popolare per via di preoccupazioni sia culturali che relative alla sicurezza.

Per lungo tempo gli Aborigeni locali, gli Anangu, hanno protestato sostenendo che il luogo era sacro e dal 1985, anno in cui la gestione dell’Uluru-Kata Tjuta National Park è stata affidata a loro, si sono battuti per vietare qualunque forma di arrampicata. Un’anziana Anangu,  Barbara Tijkadu ha un messaggio per tutti gli scalatori: “Quello su cui vi state arrampicando è un luogo sacro, non dovreste farlo. Non è questo il suo vero scopo“.

Spera così che tutti i turisti abbiano un’iluminazione e si rendano conto che quello della scalata non è il modo giusto, né il più rispettoso, di accostarsi al sacro monolite. Una fonte governativa ha detto presso il centro culturale dell’ Uluru-Kata Tjuta National Park che chi si arrampica rispetta solo il proprio diritto di arrampicarsi ma c’è la possibilità di scegliere tra arrampicarsi e camminare intorno ad Uluru. In verità le preoccupazioni sono anche di tipo ambientale e riguardano questioni relative alla sicurezza. Gli ufficiali preposti al parco sostengono che il sentiero per arrampicarsi in cima al sacro monolite, costantemente percorso dai turisti, è ormai danneggiato e l’erosione sta cambiando volto a Uluru. Inoltre la scarsità di servizi igienici e di contenitori per l’immondizia ha portato a una sovrabbondanza di rifiuti che vengono lasciati indietro dai turisti e che stanno minacciando i pozzi vicini.

Come se non bastasse, il sentiero per arrivare in cima è ripido e scivoloso e se a questo si aggiungono le elevatissime temperature australiane, la scalata può rivelarsi davvero pericolosa. Secondo il sito web del parco dal 1958, anno in cui sono cominciate le registrazioni, trentasei persone sono morte nel tentativo di scalare Uluru. Per tutte queste ragioni il parco nel 2009 ha avanzato una proposta di legge che vietasse nella maniera più assoluta ogni tipo di scalata. Tuttavia non ha ricevuto l’appoggio sperato da parte del governo poiché i politici hanno intuito che un simile divieto avrebbe seriamente danneggiato l’industria locale del turismo.

L’anno scorso il dibattito ha cominciato nuovamente a infuriare quando una star del football australiano, Sam Newman, è stata fotografata mentre lanciava una pallina da golf contro il monolite e un uomo è stato fotografato nudo sulla sommità. Gli “incidenti” hanno fatto andare su tutte le furie gli Aborigeni in ogni angolodel paese. Mick Mundine, chief executive dell’Aboriginal Housing Company che ha sede a Sydney, dice che “la cosa ci rende molto tristi. Siamo la prima popolazione d’Australia e ancora non abbiamo il giusto riconoscimento e il pieno rispetto della nostra cultura”. I più anziani della tribù degli Anangu sostengono che il parco nazionale, sotto forma di affitto, ha garantito oltre il venti per cento delle entrate complessive di tutta la comunità indigena per cui le preoccupazioni riguardano anche la fine che farebbero questi fondi se la scalata venisse bandita definitivamente. Secondo il contratto il diritto di scalare Uluru cessa nel 2020 e i parco nazionale sta già cercando un esperto per supervisionare la chiusura della scalata. Se si decidesse di prolungare la possibilità di salire sul monolite oltre questa data, bisognerebbe rinegoziare i termini dell’affitto.

Un’esperienza unica nella vita

Per ora comunque ai turisti è ancora permesso di arrampicarsi sull’Ayers Rock. A dispetto delle proteste e delle preoccupazioni sulla sicurezza, migliaia di persone ogni anno decidono di raggiungere la cima del monolite alto trecentoquarantotto metri. N.C:, trentasette anni, una professionista originaria di Sydney nel 2009 ha deciso di scalare Uluru; sebbene fosse stata avvisata di tutte le problematiche culturali connesse con la scalata, alla fine la sua curiosità ha vinto. “Quando sono arrivata c’erano molte persone che stavano salendo e sembravano tante formiche. Avevo parlato con mia nonna, la quale aveva fatto la scalata venti anni fa e mi aveva riferito che si trattava di un’esperienza davvero incredibile. Non mi andava molto l’idea di fare la pecora e seguire il gregge ma mi sono detta che una persona in più non avrebbe poi fatto tanta differenza e così sono salita anch’io”: La nostra amica afferma che c’è qualcosa di profondamente spirituale nel trovarsi in cima ad Uluru e nell’osservare tutt’attorno il deserto che si estende a perdita d’occhio. Qualcosa come un senso di calma profondo.

Non si pente della decisione ma ci tiene a precisare: “La scalata è stata parecchio più faticosa del previsto ma una volta arrivati in cima la vista è veramente mozzafiato. Sono contenta di averlo fatto… a quale prezzo per gli Aborigeni non lo so”. S.P., che studia a Sydney ma è originaria della Gran Bretagna e ha poco più di vent’anni, sta già pianificando il viaggio a Novembre e scalare Uluru è nella sua lista di cose da fare. Sostiene che si tratta di un’opportunità unica e che, come tutti ben sanno, non c’è niente di analogo nel Regno Unito. La cosa che forse si avvicina più a Uluru da quelle parti è Stonehenge.

Alternative alla scalata

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Nonostante l’eccezionalità dell’esperienza, il numero di visitatori che scelgono di arrampicarsi in cima scende di anno in anno. Il parco ha stimato che all’incirca il trentotto per cento dei visitatori annuali scala Uluru, contro il settantaquattro del 1990. Le ragioni del calo stanno sia nel rispetto per la cultura locale che nella mancanza di interesse per la scalata in sé o nelle preoccupazioni per la sicurezza. Fortunatamente per tutti quelli che non vogliono calpestare nessuna usanza culturale altrui o che semplicemente hanno paura dell’altezza, ci sono molti altri modi per visitare la famigerata roccia. La Anangu Tours, un tour operator di proprietà degli Aborigeni, è uno dei numerosi operatori della zona che offre la possibilità di visitare la zona con una vera guida Aborigena senza scalare il monolite.

I tour prevedono delle camminate per esplorare le formazioni rocciose e i siti di arte aborigena attorno alla base, sotto la guida dei locali e di interpreti esperti. Generalmente i gruppi vengono introdotti alle Dreamtime stories, la cornice della mitologia aborigena, così come al cibo che si può trovare naturalmente nel bush, all’utilizzo del digeridoo, alla pittura a punti e al lancio dei dardi. Andrew Simpson, il tour manager Anagu sostiene che: “Il cento per cento dei turisti che scelgono di non arrampicarsi per rispetto alla cultura locale, finiscono sempre per imparare abbastanza in merito alla cultura Anangu durante i nsotri tour. Claire Howart, trent’anni, consulente i viaggio originaria di Peterbourgh in Inghilterra, è stra quelli che di recente hanno scelto per un tour aborigeno guidato attorno alla base di Uluru in compagnia del gruppo di Adventure Tours. “Non volevo essere irrispettosa” dice “ci sono molti altri posti dove potrei andare ad arrampicarmi.

Probabilmente la vista da lassù sarebbe fantastica ma posso scegliere di andare a scalare una montagna che non è sacra a nessuno”. La camminata attorno alla formazione rocciosa oblunga è lunga più di nove chilometri e le ci sono volute circa due ore e mezza per concluderla ma nonostante ciò dice di essersi molto divertita durante questa esperienza. “Mi ero solo immaginata questa roccia circolare o quasi ma è composta da molte parti differenti. Ad esempio c’è una cascata che viene giù da uno dei suoi lati. Non è piatta come si potrebbe credere e ci sono molti crepacci attraverso i quali è possibile camminare. Adesso penso che sarebbe stata un’esperienza fantastica anche arrampicarsi ma poi penso no, scalerò qualcos’altro“.

Cose da sapere sulla scalata a Uluru

La scalata è sempre chiusa di notte e, nei mesi di Dicembre, Gennaio e Febbraio, a partire dalle otto del mattino e ogni qual volta le temperature superano i trentasei gradi Celsius. La scalata potrebbe anche essere chiusa quando le previsioni danno pioggia o il venti per cento della roccia è coperto dall’acqua. Potrebbe anche essere chiusa per operazioni di salvataggio o per questioni rituali.

Come sopravvivere nelle terre selvagge d’Australia

Con le sue staccionate bianche e le sue strade costeggiate da alberi, Tumut, circa quattrocento chilometri a ovest di Sydney, è quanto di più pittoresco una città rurale australiana possa offrire ai suoi visitatori. La cittadina però ha anche un oscuro passato: per secoli il Tumut River è stato un punto di incontro per le tribù aborigene dei Wiradjuri, dei Wolgan e dei Ngunnawal. Queste popolazioni in alcuni casi entravano in lotta tra loro ma per la maggior parte del tempo vivevano sostanzialmente in pace. Esperti cacciatori raccoglitori, raramente facevano a meno della tranquillità. Il loro mondo giunse alla fine nel XIX secolo quando i coloni bianchi si riversarono nell’interno alla ricerca di terre per i pascoli. Nonostante la coraggiosa resistenza delle tribù, la superiorità tecnologica degli invasori era troppa e gli aborigeni dovettero presto rinunciare a ogni forma di lotta.

I sopravvissuti furono ammassati nelle missioni cattoliche dove persero la voglia di condividere il ricchissimo patrimonio della tradizione orale che li  accompagnava da innumerevoli generazioni. Tutto ciò sarebbe potuto andare perso per sempre se per iniziativa del New South Wales Parks and Wildlife non ci fossero state ore e ore di conversazione faccia a faccia tra i rangers e gli Aborigeni più anziani. Tra i partecipanti vi era il trentaseienne ranger Wiradjuri Shane Herrington il quale ci racconta: “Sono nato nella missione di Brungle, un insediamento aborigeno che si trova venti chilometri a nord di Tumut ma non ho mai imparato niente a proposito della gente di mio nonno man mano che crescevo. Sapevo cos’era un boomerang e cos’erano i clap sticks (strumento musicale usato dagli Aborigeni, ndr) ma niente più di questo.

Oggi Herrington è un’enciclopedia parlante e semovente della cultura Wiradjuri e dell’arte della sopravvivenza nel bush australiano. Sa quale cibo gli aborigeni odiavano, che medicine usavano, come accendevano il fuoco, come costruivano i loro attrezzi, le armi, le corde, gli scudi, le barche e come cucivano gli abiti dalla pelle degli opossum e dei wallaby. Insomma è il Bear Grylls del Great Dividing Range e ha tanta voglia di condividere le sue competenze con chiunque voglia partecipare al Wiradjuri Wonders Aboriginal Discovery Tour.

Non mangiate i funghi

Herrington si trova nel suo elemento naturale mentre camminiamo lungo un sentiero scosceso nella Wereboldera State Conservation Area, a dieci minuti in macchina da Tumut ma distante anni luce da quella che viene comunemente considerata la civiltà. Lì fuori non ci sono nient’altro che alberi e sembrano tutti uguali finché Herrington non li indica uno ad uno e ne descrive le proprietà nutrizionali e terapeutiche. “Questo è un cespuglio di curry”, ci dice prendendo alcune foglie e frantumandole tra le mani; “è una sorta di erba simile al rosmarino, ottima per cucinare la carne ma se la si fa bollire nell’acqua, i suoi vapori aiutano a decongestionare l’apparato respiratorio e ad alleviare tosse e raffreddore.

Questa invece è una bacca di anona reticulata” continua prendendo un piccolo frutto da un altro albero e porgendocelo per assaggiarlo. Non è così buono però, sa di schiuma. Così Herrington prende un altro frutto della stessa pianta ma questo è molto maturo e si trova ai piedi dell’albero: sa di marmellata di lamponi. Ho provato la falsa sarsaparilla e la ciliegia locale ma mi sono astenuto dallo sgranocchiare uno strano fungo fluorescente. “Sono molto scettico in merito alle cose fluorescenti che si trovano nel bush” dice Herrington “perché generalmente quel tipo di colore indica un pericolo”. Herrington spiega che queste cose sono state scoperte attraverso prove continue e soprattutto cavie umane. “Non avrei mai voluto essere un uomo debole o malaticcio o che non poteva contribuire in alcun modo all’esistenza della tribù” dice, “questo genere di persone erano usate per testare se un cibo era velenoso oppure no”.

L’arte della guerra

Parliamo adesso della guerra e dell’arte di costruire armi e strumenti. Herrington ci spiega che nove delle dieci volte in cui i suoi antenati entravano in guerra con un’altra tribù era per le donne che venivano considerate un bottino da accumulare. Il ranger di origine aborigene mostra anche come si costruiva un’ascia: una grande pietra circolare di fiume veniva sfregata contro un pezzo più grande di quarzo. Il lavoro richiedeva la presenza di due uomini e poi c’era chi doveva gettare l’acqua per lavare via la polvere e i filamenti che si formavano durante una lavorazione.

Quanto alle imbarcazioni, una molto comune era la coolamon, a forma di canoa e ricavata dal red box tree, temprat successivamente dal fuoco e dotata di un beccuccio per evitare l’accumulo di acqua. Con l’ascia fatta a mano è possibile tagliuzzare la corteccia di un albero di Kurrajong in tante striscioline da intrecciare per  creare delle corde. Si tratta di un lavoro monotono e noioso ma si tratta di un’abilità fondamentale per la sopravvivenza e che ogni Aborigeno deve saper maneggiare. “Ci sono molte false credenze in merito al fatto che le donne si occupavano della tessitura e gli uomini di creare le armi: le donne infatti avevano necessità di lame affilate per tagliare la carne prima di cucinarla e agli uomini servivano corde per completare le armi”, spiega Herrington. Così la lama dell’ascia va fissata a un bastone tramite le corde ricavate da un albero.

Gli Aborigeni però usavano anche altre armi, il boomerang per esempio, sorprendentemente semplice da lanciare ma molto difficile per prendere la mira: a questo problema Herrington e i suoi antenati hanno ovviato facendo tanta pratica per capire in anticipo la traiettoria dell’arma. Un’altra arma utilizzata era il woomera, un aggeggio di legno usato per lanciare dei dardi molto più velocemente e accuratamente che non con le semplici mani. Herrington riesce a fare lanci che raggiungono i trenta metri attraverso la foresta ma anche questa arma non è così semplice da usare come sembrerebbe. Per fortuna non dobbiamo fare più affidamento sulla nostra capacità di cacciatori per procacciarci il cibo e il pranzo è comodamente consegnato da un altro ranger in un cestino a tutti coloro che fanno il tour del parco.

Il pasto è squisito ma non contiene niente che Herrington non si sarebbe potuto procurare o cucinare  da solo (carne di canguro alla brace, peperoni e pomodori selvatici, insalata di frutti dell’albero di Kurrajong). “Potrei sopravvivere in questi luoghi per un periodo di tempo indefinito“, conclude il nostro ranger aborigeno.

Gli itinerari della cultura aborigena

Fare un viaggio in Australia significa anche venire a contatto con la cultura delle popolazioni aborigene autoctone, preesistenti alla colonizzazione europea. Vediamo dove potrete entrare in contatto con queste popolazioni per conoscere meglio i loro usi e la loro cultura tradizionale.

Le comunità aborigene oggi

Sono ancora molte le comunità aborigene disseminate in lungo e in largo nel territorio australiano. Molte di esse hanno mantenuto pressoché inalterate (per quanto possibile) le loro tradizioni e mantengono ancora fortissima la componente spirituale che è il fulcro portante della loro cultura.

Per conoscere appieno ciò che la cultura aborigena significa davvero il primo consiglio che vi do è quello di programmare una visita (della durata di un intera giornata) presso Manyallaluk nel Northern Territory. Qui potrete prenotare un itinerario con autentica guida aborigena che vi porterà in giro, per tutto il giorno, facendovi conoscere tutti i segreti della vita quotidiana di queste popolazioni.

La cultura aborigena: dove trovarla

Imparerete a conoscere il loro cibo, le loro tradizioni, la loro medicina e avrete la possibilità di provare anche a suonare il didgeridoo, lo strumento musicale tradizionale di queste popolazioni. Potrete sentire, dalla loro stessa voce, i loro racconti più tradizionali e sarà il modo migliore per imparare a capire questa cultura, troppo spesso osteggiata e dimenticata. I tour guidati partono da Katherine ed hanno un costo di circa 180 AUD. Prima di muovermi chiamate sempre per avere conferma che i tour siano attivi perché essi dipendono molto dalle condizioni atmosferiche e stradali.

Se invece vi trovate nel Queensland muovetevi alla volta di Mossman Gorge, poco più a nord rispetto alla città di Cairns. Qui, oltre ad ammirare la spettacolare Mossman Gorge potrete prenotare una visita con guida aborigena. Le visite, che prendono il nome di Kuku-Yalanij Dreamtime Walks hanno la durata di 90 minuti e vi offriranno la possibilità di entrare direttamente in contatto con questo popolo.

Ad Alice Springs si trova invece l’Australia Art & Culture Centre che organizza tour guidati ( con guide aborigene) della durata di una o mezza giornata. Anche qui avrete la possibilità di entrare in pieno contatto con le abitudini di questo popolo, conoscere la loro quotidianità e toccare con mano il loro presente e la loro storia. Per informazioni potete visitare il sito www.aboriginalart.com.au dove troverete anche molte informazioni generali sulla meravigliosa cultura di questi popoli.

Post del forum sugli Aborigeni

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